Un uomo sta per rientrare a casa, si ferma davanti alla porta d’ingresso, appoggia in terra la borsa da lavoro e fruga nelle tasche della giacca e dei pantaloni per trovare la chiave, che non trova. Questa situazione lo porta a riflettere, davanti a quella porta chiusa, su se stesso e sul rapporto con la sua famiglia. La soluzione è degna della sua solita condotta.
Rappresentata da
Compagnia Am Palcoscenico - Fontechiari (Frosinone)
La chiave di casa
monologo di
Paolo Cappelloni
Un uomo sta per rientrare a casa, si ferma davanti alla porta
d’ingresso, appoggia in terra la borsa da lavoro e fruga nelle tasche della
giacca e dei pantaloni per trovare la chiave, che non trova.
L’uomo - Dove
l’ho messa? Non è possibile... non posso averla persa! Se mi fosse caduta
l’avrei sentita, con quel portachiavi che ha!... Che l’abbia messa in borsa? (Prende la borsa e vi fruga dentro) No, non
c’è! Ma porca miseria, come faccio? Mia moglie è a Milano, mia figlia all’università
quindi figuriamoci se hanno lasciato una finestra aperta, oltretutto non ci
sarebbe nemmeno un punto accessibile, dagli appartamenti vicini. (Riguarda nella borsa) Niente. Come
cavolo faccio a entrare? (Si siede in
terra) Una settimana a Milano, ed è partita ieri! (Ci pensa su) Ieri o l’altro ieri? Comunque... e io fuori casa come uno
scemo! come un estraneo! Perché mi devono capitare queste cose? Io che sono
sempre attento, ordinato in tutto, proprio oggi che lei non c’è mi ritrovo fuori
di casa! (Pausa) Proprio come dalla
sua vita, del resto. Ormai da tempo. Già, lei non litiga più, non si arrabbia,
cambia solamente umore e tace... e mi ignora, e va a Milano da sua sorella, o
va a Bologna dalla sua amica, o a Villagrande per riflettere e meditare. (Ironico) Villagrande deve essere il
luogo della riflessione, il paese dell’autocoscienza! (Pausa) Io non so... prima, invece, si litigava, si gridava,
volavano perfino gli oggetti ma poi tornava il sorriso, tornavano i baci. Era
una cosa normale, come per tutte le coppie. (Mette le mani in tasca per un ultimo accertamento) Non posso averla
lasciata in ufficio, che senso avrebbe? (Pausa)
Ci fosse stata mia figlia... ma anche lei, sono anni che ha chiuso entrambi
fuori dalla sua vita, senza nemmeno mai litigare. Lei è passata direttamente
alla fase di rifiuto, di chiusura completa. “A chi vuoi più bene, al babbo o
alla mamma?” (Fa un mesto sorriso)
Risponderebbe sicuramente con una delle sue smorfie di compatimento. E pensare
che si è fatto tutto, per lei. È sempre stata sommersa di tutte le cose che ci
ha chiesto. Già, bel risultato! (Guarda
la porta d’ingresso) Credo che non la consideri più nemmeno casa sua: la
usa come un deposito per i suoi oggetti meno utili, dei quali noi facciamo
parte. Ho solo due immagini di mia figlia: la prima da bambina, una bambolina
deliziosa, sempre sorridente, la seconda di adesso, con le valigie in mano
pronta a ripartire per l’università o per chissà dove dopo aver ritirato
qualche libro o qualche altra cosa lasciata qui involontariamente e necessaria
alla sua vita, fuori. (Riguarda verso la
porta chiusa) Come devo fare? siamo solo noi tre ad avere la chiave... Non
potrò mica prendere e andare da una di loro due? “Scusa, sono rimasto fuori
come un imbecille, dammi la tua chiave”. La chiave... è tutto lì. Bastasse una
chiave per tornare alla normalità! (Pausa.
L’uomo si alza, va verso la porta e vi batte sopra con i pugni chiusi) C’è
nessuno?? Apritemi per favore!! (Torna a
sedere in terra) Ma la colpa di questo è anche mia; forse anch’io ho usato
per molto tempo questa casa come... come un punto d’appoggio. Il lavoro, il
mondo del lavoro è diventato presto il “mio” mondo. È stato necessario ma è
difficile, a volte impossibile accantonare un mondo quando sei nell’altro, e
quello del lavoro è stato sempre più incombente, con i suoi rapporti
professionali e umani, non conciliabili con quelli familiari. Già... soprattutto
quando ho conosciuto Giulia, che mi ha aperto la sua casa e i due mondi si sono
allontanati ancora di più. (Pausa)
Riconosco di aver avuto allora un comportamento più assente, apatico nei
confronti di mia moglie, e viceversa. E mia figlia se n’è accorta, già, se n’è
accorta prima di tutti perché immagino che la sofferenza di un figlio, di
fronte a certe cose, sia molto più forte. Hanno le antenne, loro. Imbecille che
sono! Allora sarei io quello che dovrebbe chiedere di entrare? dovrei invece essere
“io” ad aprire la “mia” porta! (Pausa)
Che situazione di merda! ma è chiaro che non ci riesco, non ci riuscirò mai! Sarebbe
come cercare di rimettere insieme i cocci di un vaso rotto: rimarrebbero sempre
le incrinature ben visibili a tutti. È facile attribuire le colpe all’uno o
all’altro, o a terzi: tutte brave persone e tutte colpevoli. (Si alza in piedi) Insomma, come devo
fare? (Fa un sorriso ironico)
Chiedere aiuto ai vicini? chiamare i vigili del fuoco? abbattere la porta? (Pausa) Forse me l’hanno rubata, in
questo caso si dovrà cambiare la serratura! Aspetta! aspetta un po’...! La chiave
di riserva! porca miseria! quella sotto lo zerbino! (Si precipita ad alzare lo zerbino ai piedi della porta e la trova.) Eccola! (Ride fra sé) E dire che
sono sempre stato contrario a lasciare una chiave di casa qui sotto! “Non si sa
mai” mi hanno sempre detto. (Guarda la
chiave che tiene in mano) Tutte brave persone e tutte colpevoli, io per
primo: col mio egoismo, la mia indolenza e la mia... vigliaccheria, che mi ha
sempre portato a non affrontare le situazioni, e questa è una delle tante, la
più difficile. (Torna allo zerbino sotto
il quale ripone la chiave, poi guarda la porta chiusa, si gira e se ne va)
Bravo imbecille.
Fine
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